le cronache del drago nero

L'alba giunge fredda e d'argento

L’alito dei cavalli davanti alla nostra fila si condensa pesante nella nebbia, come se l’anima prendesse corpo nel gelo, gli animali scalpitano inquieti, la paura è presente come una dama silenziosa. Non un filo di vento muove i vessilli neri e sanguigni, accasciati sulle aste come soldati dormienti. La resa: speranza crudele, ma unica via per fuggire allo Sconosciuto.

Bagliori argentati sulla collina davanti a noi, ancora pochi passi ci dividono da quel fragore metallico. Non saprò mai perché sono lì, perché quella scelta, se hanno potuto farla, uomini come marionette nelle mani dei Sette.
L’armatura ammaccata tortura il mio fianco, non c’è tempo per il dolore né per le accortezze, impugno una spada che non è la mia, era di qualcuno certo, ma i suoi occhi spenti me l’hanno concessa in silenzio senza poter replicare.
I corni risuonano come giganti delle nevi, i cavalli si impennano, nitriscono, zoccoli che battono il fango e il sangue che lo colora; la bocca si riempie di polvere e terra.

Le linee nemiche sono sfondate, dicono, abbiamo la migliore cavalleria, dicono, con scontatezza su cumuli di cadaveri e stendardi.
Altri corni annunciano che è il nostro momento. Lo sferragliare nella corsa, la forza dell’impatto. Riflessi metallici, gocce cremisi, grida e dolore compongono la cacofonia del caos che mi circonda. Cado, ma non c’è tempo per abbandonarsi: stiamo vincendo e non c’è morte nella vittoria, solo gloria eterna, la gloria del Vero Drago.

Il fiato si mozza, il fango mi riempe il viso, la bocca, la gola, soffoco steso a terra sotto il peso: di un compagno? di un nemico? di un corpo.
Un mare verde e dorato, che si inonda di cremisi, di corpi e di grida: loro hanno ricevuto dei rinforzi che le sentinelle non hanno individuato, accecate dallo stesso fato. Siamo spacciati! A fatica mi rialzo, ordinano la ritirata, ubbidisco. Combatto per la vita, non per la morte, non è l’ultima occasione.

In pochi ricordano tutto questo, durante la Seconda Ribellione, una battaglia come tante altre, non uno scontro epico, solo metallo e sangue, corpi e nomi dimenticati, nessuna donna accarezzerà più quelle membra con mani candide, nessuna ballata sarà composta per chi è caduto in questi luoghi, per chi ha visto l’ultima alba sopra i boschi delle Terre della Tempesta.

Per me, fu la prima, ma non l’ultima, non esisterà l’ultima fintanto che avremo fiato in gola. Fino all’ultimo sussulto, tutti balliamo come fantocci al ritmo del gioco del trono, condotto dai grandi e suonato dai piccoli, tra cadaveri ed assassini, lord, puttane e falsi re; gocce minuscole nel vermiglio mare del fato, ma, in fondo, il mare non è fatto di gocce? 

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